LIBRI

25-02-2009 -

"Voglio una vita come la mia" di Marco Santagata
è un titolo provocatorio e l´intero libro di Santagata è una provocazione. Se così non fosse sarebbe un enorme ruggito cinico di un uomo, il protagonista, avverso ai cambiamenti che non ammette alcun confronto con qualsiasi cosa non gli appartenga, che non sia appunto simile alla propria vita. Santagata compie invece un´operazione più impegnativa, di sfida e di pungolo contro molteplici aspetti della società contemporanea. A sostenerlo un linguaggio acuminato. Per fare ciò assume come punto di partenza il fatto che quelli nati tra il 1946 e il 1950, e solo loro, sono gli unici ad aver conosciuto due mondi, gli unici ad essere i frontalieri della storia. Ma di quale storia? Quella precedente l´industrializzazione del secondo dopoguerra italiano, di chi può ancora dire: "La gran parte di noi è nata in paesi o in piccole città, e in molti discendiamo da nonni contadini. Nelle nostre case non c´era l´acqua corrente, ci grattavamo sotto i pantaloncini, sassi di fiume e pezzi di legno erano i nostri giocattoli, a sera prendevamo sonno ascoltando favole o i discorsi dei grandi a veglia. Privazioni, forse, ma ci ricompensava con interessi esorbitanti l´essere circondati da un mondo magico, un mondo a nostra misura".

A questo mondo si contrappone, invece, quello coevo che parte dai "fanatici del weekend e del trekking" per arrivare "all´onnipotente cartello della comunicazione". Santagata racconta le vicende personali, esclusive, del protagonista attraverso caustici flash back, con uno sfondo storico nel quale si distinguono le ombre di misteriosi e insondabili dèi, eterni burattinai delle dinamiche sociali. Dèi di volta in volta "buoni" o "cattivi". Gli stessi, come sottolinea il protagonista, per cui "mi preme ribadire che il primo impareggiabile regalo fatto dagli dèi a noi del quinquennio felice è stato di tenerci fuori per sessant´anni da ogni guerra".

Il protagonista del romanzo è più volte sposato, amante verace ma distaccato, padre di figli con cui si scontra, come ad esempio con il figlio ventitreenne, studente di filosofia, che non ne vuole sapere di prendersi la macchina e preferisce sfrecciare su un cinquantino. L´autore offre un´originale lettura dei sessantottini italiani e della rivoluzione sessuale, per arrivare infine a parlare dei giovani d´oggi: "Ci guardano con un misto di soddisfazione e di invidia. Cominciano a intravvedere il giorno in cui potranno finalmente infilarsi nelle nostre scarpe. Perché a loro, ai più giovani, piacerebbe essere noi... Camperemo a lungo, è certo. Ficcatevi in testa che oggi il Valore è la vecchiaia". Una certa inquietudine pervade il racconto: "Del resto, non ricordo neppure le date del mio matrimonio e della nascita dei miei figli" dice l´autore. All´inquietudine si affianca una distensione finale. Così, ultimando il racconto, il protagonista non può non essere contento del proprio vissuto e volere anche un bel funerale in chiesa. Ecco perché, citando il Vasco nazionale, può affermare: "Voglio una vita spericolata... Voglio una vita come... come la mia".


Fonte: Il sole 24 ore